Monday, February 28, 2005

[stragi fasciste] Siamo tutti sciiti

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La Stampa, 1 marzo 2003

La guerra civile
dei sunniti
di Lucia Annunziata

Hilla è un'area a cento chilometri circa a Sud di Baghdad. A
predominante popolazione sciita. Sciiti sono così i centoventicinque
morti fatti dall'auto bomba esplosa ieri. Nel giorno in cui l'Iraq
piange la sua maggiore carneficina per mano terrorista dalla caduta di
Saddam, è bene fermarsi sulla estrazione sociale e religiosa dei morti.
L'opinione pubblica occidentale e in particolare quella italiana - a
dispetto (o forse a causa) della massa di notizie che arriva dall'Iraq -
continua infatti ad essere informata con termini generici usati
alternativamente, quali violenza, resistenza, guerra civile. E di
generici «civili» si parla in queste ore per definire le vittime
dell'attentato di Hilla. Quello che succede in Iraq da mesi ha invece
una sola firma: quella dei sunniti, o sunniti stretti in patto con le
organizzazioni al-qaediste; e un solo gruppo di vittime: gli sciiti. Si
tratta di un copione unico, con una unica azione: i sunniti e/o al Qaeda
tirano il gancio dell'esplosivo e gli sciiti muoiono. L'unica variante
agli sciiti, sono i cristiani. Lo scopo di questi attacchi è preciso:
riuscire a provocare una reazione. Se la massa dei poveri, dei
tormentati sciiti iracheni prendesse le armi, gettando nella mischia il
peso del loro sessanta per cento demografico nonché la radicalità della
loro fede, sarebbe l'Apocalisse in Mesopotamia, il punto di caduta
finale, la guerra civile insomma. Ogni processo politico sarebbe a quel
punto morto, nonché ogni prospettiva di pace. E' questo il baratro su
cui l'Iraq è affacciato da tempo, fin dai giorni dopo la caduta di
Saddam. Se questo confine, quello della guerra civile, non è stato
ancora attraversato è solo grazie al fatto che, appunto, gli sciiti
muoiono e non rispondono, si fanno massacrare ma non prendono le armi.
Non che il loro stoicismo e la loro pazienza siano segno di una
particolare indole o approccio filosofico. La ragione per cui non
rispondono è l'obbedienza alla decisione dei loro leaders religiosi di
arrivare al potere per vie legali: ma quanto durerà? A fronte di un
continuo aumento della quantità e della grandezza degli attacchi - come
sta succedendo - quanto profondo si rivelerà il controllo della fede e
della logica sulla rabbia e la paura? Questo è il panorama con cui
l'opinione pubblica occidentale deve misurarsi, non con indeterminate
violenze.

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Tb

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