Peggio di una dittatura, è la paralisi
CONVERSAZIONE. MEGLIO NON ESAGERARE SUI RISCHI DEL PREMIERATO E DEL FEDERALISMO
Peggio di una dittatura, è la paralisi
Augusto Barbera annuncia il suo no alla riforma costituzionale, ma invita l’Unione ad usare gli argomenti opposti se vuole davvero vincere il referendum
Prima di rovesciare i luoghi comuni sulla riforma costituzionale approvata due giorni fa al Senato, Augusto Barbera vuole sgombrare il campo da qualsiasi equivoco. «Non condivido assolutamente il testo e al referendum confermativo sarò in prima fila tra quelli che voteranno no». La strada del noto costituzionalista da sempre vicino al centrosinistra e quella dell'Unione si separano sulle «ragioni del no». Perché, come spiega Barbera, «non è vero che questa riforma prefigura la possibilità di una dittatura del primo ministro, non è vero legittima un federalismo che spaccherà l'Italia, così come non è vero che annullerà i poteri del Quirinale. La riforma, che di fatto sancisce un potere di condizionamento di una minoranza all'interno della maggioranza, ha tutte le carte in regola per creare la paralisi istituzionale».
Barbera lancia un appello al centrosinistra delineando i rischi di una errata lettura del testo. «È vero che la posizione di gran parte degli esponenti dell'Unione - spiega il costituzionalista - da un lato facilita la mobilitazione dell'elettorato radicale. Ma dall'altro, rischia di allargare il fronte di quelli potrebbero votare sì al referendum. Penso a tutti quei moderati che vogliono davvero un premierato forte e ai cittadini che, soprattutto al Nord, chiedono un federalismo più marcato. Tutte caratteristiche che questa riforma non ha. Di conseguenza, si rischia di consegnare a tutta la Cdl la bandiera del premierato forte e alla Lega quella del federalismo vero».
Fatte le dovute premesse, Augusto Barbera analizza punto per punto le caratteristiche di un testo ormai non emendabile. Partendo dai poteri del primo ministro. «Non ci sarà nessuna dittatura, anzi», ribadisce. «Da un lato, avremo un primo ministro che di fatto non controlla il processo legislativo; dall'altro il primo ministro risulterà in balìa di una minoranza all'interno della maggioranza». Perché, spiega, «su una grande quantità di provvedimenti legislativi, il governo avrà bisogno anche dell'approvazione del Senato sedicente federale, eletto in tempi diversi rispetto alla Camera e non legato al governo dal rapporto fiduciario. Nessuna altra camera al mondo dispone del potere del nostro Senato federale, neanche il Bundesrat tedesco». Neanche il potere di scioglimento riesce a bilanciare la debolezza di un premier che Barbera definisce «un re Travicello». Perché, «se da un lato il primo ministro può sciogliere la Camera, dall'altro la maggioranza che lo sostiene può indicare un nuovo premier. Per cui un'eventuale minoranza della maggioranza può scegliere se accordarsi al primo ministro, salvandolo. O se accodarsi alla maggioranza, gettando a mare il primo ministro».
Seconda obiezione. Barbera ribalta le idee di chi sostiene che questo federalismo spacca l'Italia. «La cosa mi lascia allibito. Con questo testo ci sono addirittura dei passi indietro rispetto alla riforma del 2001 (quella del Titolo V della Costituzione, ndr). Quella sì, troppo federalista. Alcune materie delicatissime, come la distribuzione nazionale dell'energia, le telecomunicazioni e l'ordinamento delle professioni, vengono ricondotte alle competenza nazionale. Ma soprattutto questo testo ripristina l'“interesse nazionale”, contenuto nella costituzione del 1948, uno strumento in mano al Parlamento per bloccare le leggi regionali». La devolution, poi, non è che uno spauracchio. «Ma quale devolution?», ribatte Barbera. «Guardiamo alla sanità: la competenza è regionale ma il pallino rimane nelle mani dello Stato, che controllerà la legislazione sulla tutela della salute». Per quanto riguarda la pubblica sicurezza, «sfioriamo il paradosso. La Lega voleva la polizia regionale e ha avuto la polizia amministrativa. Attenzione, non un corpo regionale. Ma la normale possibilità di applicare sanzioni amministrative in caso di inosservanza dei provvedimenti regionali. Una prerogativa che le regioni avevano sin dalla loro istituzione». L'unica competenza effettiva che le regioni acquisiscono è quella in tema di scuola. «Una cosa che farà creerà più confusione che altro, e per giunta in un settore delicato. Alle regioni viene data l'organizzazione delle scuole, allo stato rimarranno le norme generali sull'istruzione».
Va bene, il premier è più debole, l'assetto federale è una bufala. Ma almeno sarà vero che il capo dello Stato è stato ridimensionato? Risposta: «Alcuni parlano di un capo dello Stato “umiliato”. In effetti due poteri gli sono stati sottratti...». Il primo è «quello di nominare il primo ministro. Ma è un potere che, di fatto, il Quirinale non ha da più quando c'è il bipolarismo». In secondo luogo, «l'inquilino del Quirinale potrà sciogliere la Camere solo su richiesta del primo ministro. Ma, di contro, potrà nominare il vicepresidente del Csm e rimanere il custode dell'autonomia della magistratura; i presidenti delle Authority di garanzia nonché, anche se è meno importante, il presidente del Cnel». Neanche la Consulta è umiliata. Certo, «aumenterà il numero di giudici di nomina parlamentare, a discapito di uno dei cinque di nomina presidenziale e di un altro di nomina della Cassazione. Ma nel contempo, visti i conflitti di attribuzione tra Stato e regioni che questa cattiva riforma farà lievitare, la Consulta avrà occasione di pronunciarsi su questioni che vanno oltre le sue attuali competenze».
L'ultima battuta Barbera la riserva per un auspicio. «Mi auguro che il centrosinistra, se si troverà al governo con una riforma bocciata dai cittadini, torni al programma elettorale del 1996. Ma la partita si gioca proprio nell'analisi dell'attuale riforma. Temo che certi allarmi sull'inesistente dittatura del premier tendono a far regredire il centrosinistra su posizioni assembleariste». L'imperativo rimane affossare il testo della Cdl. Un testo, conclude Barbera, «lottizzato, non pensato in maniera organica. Con un po' di fumo federalista per la Lega, il potere di veto delle minoranze all'interno della maggioranza per l'Udc, l'interesse nazionale per An». Come? «Alzando il livello di un dibattito finora virtuale e per nulla attento ai contenuti e ai rischi reali che questa riforma comporta».
Peggio di una dittatura, è la paralisi
Augusto Barbera annuncia il suo no alla riforma costituzionale, ma invita l’Unione ad usare gli argomenti opposti se vuole davvero vincere il referendum
Prima di rovesciare i luoghi comuni sulla riforma costituzionale approvata due giorni fa al Senato, Augusto Barbera vuole sgombrare il campo da qualsiasi equivoco. «Non condivido assolutamente il testo e al referendum confermativo sarò in prima fila tra quelli che voteranno no». La strada del noto costituzionalista da sempre vicino al centrosinistra e quella dell'Unione si separano sulle «ragioni del no». Perché, come spiega Barbera, «non è vero che questa riforma prefigura la possibilità di una dittatura del primo ministro, non è vero legittima un federalismo che spaccherà l'Italia, così come non è vero che annullerà i poteri del Quirinale. La riforma, che di fatto sancisce un potere di condizionamento di una minoranza all'interno della maggioranza, ha tutte le carte in regola per creare la paralisi istituzionale».
Barbera lancia un appello al centrosinistra delineando i rischi di una errata lettura del testo. «È vero che la posizione di gran parte degli esponenti dell'Unione - spiega il costituzionalista - da un lato facilita la mobilitazione dell'elettorato radicale. Ma dall'altro, rischia di allargare il fronte di quelli potrebbero votare sì al referendum. Penso a tutti quei moderati che vogliono davvero un premierato forte e ai cittadini che, soprattutto al Nord, chiedono un federalismo più marcato. Tutte caratteristiche che questa riforma non ha. Di conseguenza, si rischia di consegnare a tutta la Cdl la bandiera del premierato forte e alla Lega quella del federalismo vero».
Fatte le dovute premesse, Augusto Barbera analizza punto per punto le caratteristiche di un testo ormai non emendabile. Partendo dai poteri del primo ministro. «Non ci sarà nessuna dittatura, anzi», ribadisce. «Da un lato, avremo un primo ministro che di fatto non controlla il processo legislativo; dall'altro il primo ministro risulterà in balìa di una minoranza all'interno della maggioranza». Perché, spiega, «su una grande quantità di provvedimenti legislativi, il governo avrà bisogno anche dell'approvazione del Senato sedicente federale, eletto in tempi diversi rispetto alla Camera e non legato al governo dal rapporto fiduciario. Nessuna altra camera al mondo dispone del potere del nostro Senato federale, neanche il Bundesrat tedesco». Neanche il potere di scioglimento riesce a bilanciare la debolezza di un premier che Barbera definisce «un re Travicello». Perché, «se da un lato il primo ministro può sciogliere la Camera, dall'altro la maggioranza che lo sostiene può indicare un nuovo premier. Per cui un'eventuale minoranza della maggioranza può scegliere se accordarsi al primo ministro, salvandolo. O se accodarsi alla maggioranza, gettando a mare il primo ministro».
Seconda obiezione. Barbera ribalta le idee di chi sostiene che questo federalismo spacca l'Italia. «La cosa mi lascia allibito. Con questo testo ci sono addirittura dei passi indietro rispetto alla riforma del 2001 (quella del Titolo V della Costituzione, ndr). Quella sì, troppo federalista. Alcune materie delicatissime, come la distribuzione nazionale dell'energia, le telecomunicazioni e l'ordinamento delle professioni, vengono ricondotte alle competenza nazionale. Ma soprattutto questo testo ripristina l'“interesse nazionale”, contenuto nella costituzione del 1948, uno strumento in mano al Parlamento per bloccare le leggi regionali». La devolution, poi, non è che uno spauracchio. «Ma quale devolution?», ribatte Barbera. «Guardiamo alla sanità: la competenza è regionale ma il pallino rimane nelle mani dello Stato, che controllerà la legislazione sulla tutela della salute». Per quanto riguarda la pubblica sicurezza, «sfioriamo il paradosso. La Lega voleva la polizia regionale e ha avuto la polizia amministrativa. Attenzione, non un corpo regionale. Ma la normale possibilità di applicare sanzioni amministrative in caso di inosservanza dei provvedimenti regionali. Una prerogativa che le regioni avevano sin dalla loro istituzione». L'unica competenza effettiva che le regioni acquisiscono è quella in tema di scuola. «Una cosa che farà creerà più confusione che altro, e per giunta in un settore delicato. Alle regioni viene data l'organizzazione delle scuole, allo stato rimarranno le norme generali sull'istruzione».
Va bene, il premier è più debole, l'assetto federale è una bufala. Ma almeno sarà vero che il capo dello Stato è stato ridimensionato? Risposta: «Alcuni parlano di un capo dello Stato “umiliato”. In effetti due poteri gli sono stati sottratti...». Il primo è «quello di nominare il primo ministro. Ma è un potere che, di fatto, il Quirinale non ha da più quando c'è il bipolarismo». In secondo luogo, «l'inquilino del Quirinale potrà sciogliere la Camere solo su richiesta del primo ministro. Ma, di contro, potrà nominare il vicepresidente del Csm e rimanere il custode dell'autonomia della magistratura; i presidenti delle Authority di garanzia nonché, anche se è meno importante, il presidente del Cnel». Neanche la Consulta è umiliata. Certo, «aumenterà il numero di giudici di nomina parlamentare, a discapito di uno dei cinque di nomina presidenziale e di un altro di nomina della Cassazione. Ma nel contempo, visti i conflitti di attribuzione tra Stato e regioni che questa cattiva riforma farà lievitare, la Consulta avrà occasione di pronunciarsi su questioni che vanno oltre le sue attuali competenze».
L'ultima battuta Barbera la riserva per un auspicio. «Mi auguro che il centrosinistra, se si troverà al governo con una riforma bocciata dai cittadini, torni al programma elettorale del 1996. Ma la partita si gioca proprio nell'analisi dell'attuale riforma. Temo che certi allarmi sull'inesistente dittatura del premier tendono a far regredire il centrosinistra su posizioni assembleariste». L'imperativo rimane affossare il testo della Cdl. Un testo, conclude Barbera, «lottizzato, non pensato in maniera organica. Con un po' di fumo federalista per la Lega, il potere di veto delle minoranze all'interno della maggioranza per l'Udc, l'interesse nazionale per An». Come? «Alzando il livello di un dibattito finora virtuale e per nulla attento ai contenuti e ai rischi reali che questa riforma comporta».
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