Sunday, March 06, 2005

Quel tiranno fragile e solo

Bush chiede alla Siria il ritiro
pieno dal Libano, oggi Assad vuole
annunciarne uno parziale


Tiranno fragile e solo
di Carlo Panella
Il Foglio, 5 marzo 2005, pag 1


Roma. Oggi il giovane rais siriano, Bashar
al Assad, dovrebbe annunciare al
Parlamento di Damasco il ritiro parziale
del contingente dislocato in Libano, secondo
un’anticipazione filtrata dal regime
baathista. Ma non è certo questa la mossa
risolutiva della crisi libanese. Sicuramente
il dittatore siriano non annuncerà
infatti il ritiro completo dei 14 mila militari,
tanto che il presidente americano,
George W. Bush, ha chiesto ieri un ritiro
effettivo e totale, che deve includere tutti
i suoi agenti segreti a Beirut. Ma qualunque
cosa dica o non dica oggi Assad, resta
il fatto che sono falliti i suoi tentativi di
temporeggiare e soprattutto che ha dovuto
constatare con mano che la Siria è oggi
in una situazione di drammatico isolamento
internazionale, del tutto inedita.
L’esito della sua improvvisa visita in
Arabia Saudita di giovedì è stato letteralmente
disastroso, tanto che la corte di
Riad ha fatto trapelare una versione ufficiosa
del summit da cui traspare che Bashar
è stato praticamente umiliato dal
reggente Abdallah ibn Saud. Lo Stato saudita
è un regime di polizia e se qualcuno
rivela qualcosa ai giornalisti si può essere
sicuri che lo fa per conto del sovrano.
Questo è dunque quanto “l’alto dignitario”
saudita ha riferito circa i colloqui siro-
sauditi: “Il principe Abdullah ha consigliato
al presidente Assad di ritirare le
sue truppe dal Libano e di annunciare un
calendario per questo ritiro. Se non ritirerà
i propri soldati dal Libano, le relazioni
tra Arabia Saudita e Siria subiranno
un peggioramento”. Una chiara minaccia
di ritorsioni – in piena sintonia sulla linea
Bush-Chirac – che si accompagna a un’amara
constatazione fatta dallo stesso Bashar
al Assad: il muro di diffidenze
nei suoi confronti coinvolge,
oltre ad Abdallah, anche il
presidente egiziano Hosni
Mubarak, la stessa Lega
araba – per quel poco che
ancora conta – e soprattutto
l’amico Cremlino. Il silenzio
di Putin sulla crisi
libanese ha infatti smentito
le speranze di chi in Siria
puntava al rinnovarsi di
quell’asse Mosca-Damasco che
ha sempre influenzato tutta la scena
mediorientale e che ha permesso l’annessione
di fatto del Libano alla Siria durante
la Guerra fredda.

L’asse tra Mosca e Damasco
sembrava rinato o confermato dalla
recente decisione della Russia di fornire
all’esercito siriano i piccoli, ma micidiali
missili Strelets (simili agli Stinger), accompagnata
dalla decisione di Vladimir Putin
di condonare ben 10 miliardi di dollari di
debito della Siria (per le precedenti forniture
militari sovietiche) comunicata ad Assad
durante il suo viaggio a Mosca il 25 gennaio
scorso. Ma dopo la richiesta di ritiro
delle truppe dal Libano giunta anche dal
ministero degli Esteri russo, Assad ha verificato
di avere un solo alleato, l’Iran degli
ayatollah. E questo alleato gli porta più
danni che benefici. E’ infatti evidente che
l’inusuale durezza con cui il reggente saudita
l’ha trattato è frutto di una preoccupazione
che sta cementando un’intesa tra
Riad e il Cairo per contrastare l’influenza
siro-iraniana nel Golfo. Influenza vigorosa
in Iraq (Teheran ha appoggiato apertamente
la rivolta fallita di Moqtada al Sadr), in
Libano, con Hezbollah. Il partito di Dio libanese
oggi, tramite il braccio armato del
Jihad, punta a far fallire a suon di attentati
il dialogo tra il presidente Abu Mazen e il
premier Ariel Sharon in Palestina.
La difesa da parte dei regimi arabi di
uno status quo maturato prima del 1989, insomma,
non ha più spazio. In questo contesto
la politica imperiale siriana non può
più essere tollerata, soprattutto perché si
accompagna alla volontà di espansione della
potenza regionale degli ayatollah iraniani
che sono avversari storici, anche per
drammatiche divergenze religiose e ideologiche,
sia dei sauditi sia dei laici egiziani.
Il problema di Assad, però, non è dunque
ormai più solo quello del controllo pieno
del Libano. Damasco si preoccupa soprattutto
per i riflessi sul fronte interno del
suo isolamento internazionale e del palese
e umiliante ridimensionamento della Siria
quale potenza regionale che si sta consumando
a Beirut. Nel marzo di un anno fa il
contagio iracheno aveva toccato il Kurdistan
siriano con una rivolta di piazza che
aveva fatto decine di morti. Oggi è possibile
una ripresa di quella rivolta, così come
una mobilitazione popolare (una manifestazione
per la fine dello Stato di emergenza
è già stata convocata, fatto straordinario,
a Damasco per l’8 marzo) e l’apertura di
una lacerazione del cuore stesso del regime.
I generali del Baath, che conducono –
con un certo successo – l’iniziativa terroristica
in Iraq, non possono certo tollerare di
avere le spalle scoperte da quel Bashar al
Assad, sprezzantemente definito da Mubarak
“quel ragazzino…”, che è costretto a lasciare
il Libano in maniera umiliante. Non
è escluso che ne traggano conseguenze
spiacevoli e molto pericolose.
Carlo Panella

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