Friday, March 25, 2005

Storia della FGSI

La nostra storia

Cento anni fa il socialismo italiano dava vita, a Firenze, il 6 e 7 settembre 1903, alla sua Federazione giovanile. Ilsocialismo di cent’anni fa aveva già raggiunto la comprensione che esistono differenze non riducibili alle differenze diclasse, anche se intrecciate con esse. Molto si è scritto sulla scoperta della “differenza di genere”, dalle suffragette almoderno femminismo, come elemento caratterizzante del discorso politico della modernità; ebbene, anche la “differenzagenerazionale”, per quanto necessariamente mutevole e provvisoria, è sicuramente un’altra differenza da prendere sulserio per una politica efficace di emancipazione.E’ quindi uno dei connotati di modernità del socialismo l’”invenzione” di un movimento politico e giovanile assieme, il primodi molti che hanno avuto un loro peso nella storia del ‘900, un secolo che ha “inventato” la condizione giovanile, quandoda sempre la vita degli uomini e delle donne vedeva una transizione brusca e precoce dall’infanzia alle fatiche eresponsabilità dell’età adulta. Nenni diceva che ogni generazione porta il suo speciale contributo alla storia del proprioPaese; in un secolo dovremmo contare, per convenzione, quattro generazioni, o forse dieci, secondo l’uso, diprovenienza americana, di scandire con i decenni le mutazioni del costume nazionale e della vita sociale e politica (gli“anni 60”, gli “anni 80”). Contare come se ogni decennio si verificasse un avvicendamento di generazioni e’ certobiologicamente assurdo, ma ha un suo fondamento nella percezione che nel ‘900 ogni decennio abbia avutoconnotazioni proprie assai spiccate, e del resto con l’espressione “nuova generazione”, si intende, nell’uso comune,proprio quel segmento, tra i 15 e i 25 anni, di nuovi arrivati sulla scena della vita pubblica, lavorativa, sociale.{mospagebreak title=I primi dieci anni}I giovani socialisti del primo decennio del secolo furono sindacalisti rivoluzionari e massimalisti: erano in cattivi rapporticon le vecchie barbe riformiste. Il riformista Bonomi sfotteva i giovani “rivoluzionari pallidi”, che criticavanomoralisticamente la nascente passione popolare per lo sport (allora il ciclismo più del calcio); per l’esperto riformista,accusare di cedimento alla frivolezza borghese quei lavoratori che lui aveva visto anni prima indigenti e analfabeti, e chegrazie alle conquiste operaie potevano finalmente concedersi i soldi e il tempo per lo svago, era un non senso, e avevaovviamente ragione. D’altra parte, era inevitabile che la Federazione giovanile fosse “più a sinistra”: se il socialismo era ilfuturo, i giovani “dovevano” essere più “avanti”. E un certo paternalismo dei riformisti non aiutava: per questi ultimi, igiovani dovevano più che altro diventare vecchi alla svelta, considerando la Federazione giovanile al massimo una“scuola quadri”. I giovani massimalisti che presero ben presto la guida della Federazione, scongiurandonel’autodistruzione a cui l’avrebbe inevitabilmente condotta il nichilismo dei sindacalisti rivoluzionari, avevano ragionealmeno in questo: per dirla in termini moderni, difendevano a modo loro un’autonomia generazionale. I giovani socialistidi quegli anni (che, tra parentesi, si riconciliarono anche con lo sport, come testimoniano alcuni ordini del giornosuccessivi) furono protagonisti di almeno una battaglia politica importante: quella antimilitarista, in un’Italia in cui lamemoria del Risorgimento andava degenerando in un nuovo nazionalismo irrazionale e pre-fascista, e in cui il serviziomilitare era per centinaia di migliaia di giovani un’esperienza durissima, che comportava privazioni gravi a loro e alle lorofamiglie, compreso il rischio concreto di morire in qualcuna delle sciagurate imprese belliche dei Savoia, essendo benviva la memoria della sconfitta di Adua e alle porte la guerra di Libia. La catastrofe della prima guerra mondiale èsicuramente l’evento principale per quella generazione: il segretario nazionale dei giovani socialisti, Catanesi, vennespedito al fronte per toglierlo di torno e morì poco dopo, giovani massimalisti, come Arturo Vella, e riformisti, comeGiacomo Matteotti, furono più fortunati, perché la loro inaffidabilità politica fece sì che venissero arruolati in reparti punitivima lontani dal fuoco. Da questo punto di vista, non sembra accettabile il famoso giudizio di Carlo Rosselli sulla gioventùitaliana di inizio secolo, che sarebbe stata nazionalista, crociana, vociana e di tutto un po’ ma non socialista. Quella diRosselli semmai è una testimonianza dello stato della gioventù intellettuale di estrazione borghese, i “maledetti studenti”che dettero vita alle manifestazioni interventiste delle “radiose giornate”, che già preannunciavano psicologicamente eanche negli atti lo squadrismo postbellico. E’ significativo che nella federazione giovanile di Reggio Emilia, cioè di unadelle città dove più forte era la presenza socialista a livello popolare, risultasse iscritto un solo studente, Camillo Berneri;ed è significativo che con la guerra Berneri abbandonasse il socialismo, che non aveva saputo evitare la strage in trinceadi mezzo milione di ragazzi, per rifluire su posizioni di intransigenza anarchica. E’ intorno alla pace e alla guerra che sisviluppò l’azione generosa dei movimenti giovanili socialisti europei: ancora prima delle più famose conferenze diZimmerwald e Kiethal, questi riuscirono ad organizzare in Svizzera una conferenza giovanile per la pace; ed è in questonodo cruciale che si spiega il passaggio di molti giovani socialisti al comunismo. La Federazione giovanile socialistaitaliana, che era ormai un’organizzazione strutturata, con una propria identità e con propri dirigenti, tra cui quel Tranquilliche poi sarà più noto come Ignazio Silone, passò praticamente in blocco a Livorno con il Partito comunista. Il trauma dellaguerra spiega questa conversione generazionale più del “mito sovietico”. D’altra parte, un’organizzazione giovanile delPsi si ricostituirà immediatamente, per iniziativa dei giovani di Parma e di un altro futuro dirigente socialista destinato aduna bella storia personale, Fernando Santi.{mospagebreak title=Dagli anni ‘20 al dopoguerra}Gli anni ‘20 e ‘30 furono, per dirla con la famosa definizione di Ruggero Zangrandi, quelli del “lungo viaggio attraverso ilfascismo” per i giovani italiani inquadrati nelle strutture di regime. Shirer nella sua Storia del Terzo Reich ha messo benein luce la capacità aggregante delle organizzazioni giovanili naziste, che offrivano -sfortunatamente- non soloindottrinamento ideologico ma vita all’aria aperta, opportunità di contatti con l’altro sesso, libertà dalle costrizioni familiari. Inmolti paesi europei si svilupparono anche all’interno del movimento operaio esperienze di organizzazione dei giovanimilitanti (Falchi Rossi, Giovane Guardia) rivolte all’organizzazione “politicamente corretta” del tempo libero; conl’imbarbarimento della lotta politica che fu diretta conseguenza della violenza bellica e dei nuovi autoritarismi, socialisti ecomunisti fecero a gara con nazionalisti e fascisti nell’organizzare veri e propri gruppi paramilitari di “autodifesa” conbande, uniformi, bandiere e poi anche armi. In Germania e Austria, figure come Wilhelm Reich, sfidando nazisti ehttp://www.giovanisocialisti.it - Federazione dei Giovani Socialisti Powered by Mambo Generated: 25 March, 2005, 13:05stalinisti assieme, consideravano questi gruppi giovanili come il pubblico ideale per la “sessuopolitica”, cioè l’educazionee l’emancipazione sessuale, ma certamente le pressioni verso una sempre maggiore militarizzazione, la radicalizzazionedello scontro con le camicie brune e la crescente influenza dei modelli autoritari sovietici non andavano nella direzionesperata dal grande psicanalista libertario. Significativo e degno di essere ricordato e’ il ruolo delle organizzazioni giovanilinel movimento sionista, che nell’Europa orientale e centrale era a larga maggioranza un movimento laico e di idealisocialisti. Poi, per i giovani italiani, tedeschi, austriaci rimase solo il passo dell’oca, o l’eroismo individuale, come quello diFernando De Rosa, giovane socialista torinese morto in Spagna con una formazione armata repubblicana spagnola (ede’ giusto ricordare la quasi contemporanea fine di Berneri, da buon anarchico soppresso a Barcellona da agenticomunisti). La ricostituzione della Federazione giovanile socialista è però uno dei primi punti all’ordine del giorno sin dallaResistenza: i primi due segretari nazionali della Fgsi del dopoguerra, Matteo Matteotti, figlio di Giacomo (1945), e LeoSolari (1947), provengono entrambi dal gruppo di giovani partigiani raccoltisi a Roma intorno alla figura di EugenioColorni, il filosofo ucciso nel 1944 durante un’azione clandestina. La Fgsi è ancora “a sinistra” del partito, ma essere asinistra nel 1947 significa essere diffidenti o apertamente contrari all’unità d’azione con i comunisti di Togliatti. Il Frontedella gioventù, che vuole essere l’organizzazione “democrática” dei giovani italiani di tutta la Resistenza apparivasempre più come uno strumento per l’egemonia comunista, un’egemonia che, per di più, sembra tutt’altro che rivolta adesiti rivoluzionari, ma piuttosto a servire la strategia togliattiana di legittimazione del Pci nell’ordine esistente, dalla “svoltadi Salerno” fino all’accordo costituzionale sul Concordato, senza le necessarie garanzie di intransigenza repubblicana eanticlericale richieste dai giovani socialisti.{mospagebreak title=Il no all’Urss e gli anni ‘50}La Fgsi rompe quindi il Fronte della gioventù, e a livello internazionale partecipa alla ricostituzione della Internazionalegiovanile socialista (Iusy), abbandonando la Federazione mondiale della gioventù democratica, organismo creatodurante la guerra in funzione antifascista ma dove oramai era impossibile la convivenza con i sovietici. Questi passaggiportarono alla rotta di collisione con Nenni (che nei suoi diari parla con fastidio di questi “giovani turchi”), che dall’esilio inFrancia aveva portato con sé la convinzione dell’assoluta necessita’ del “fronte popolare”, ed all’adesione della Fgsi allascissione di Palazzo Barberini (assieme a molti intellettuali e a capi partigiani socialisti). Da questo momento, come per ipartiti maggiori, il contributo dei giovani socialisti e socialdemocratici alla vicenda politica e sociale della Repubblica saràinevitabilmente un contributo di minoranza. Curiosa la vicenda dei giovani che aderirono al Psli: se alcuni, più esperti,avviarono una dignitosa ma necessariamente marginale carriera politica nelle fila socialdemocratiche, la Fgsi comeorganizzazione, venne interessata da un’operazione “entrista” da parte della IV internazionale (trozkista), che vedeva neigiovani socialisti ribelli al comunismo di ispirazione sovietica un interessante terreno di infiltrazione. L’infiltrazione,purtroppo, riuscì così bene da portare nel 1948 un trozkista (Livio Maitan) alla guida dell’organizzazione, con il solorisultato di costringere il gruppo dirigente saragattiano a rinunciare ad una Fgs oramai inaffidabile e ingestibile, e adaccontentarsi di una piccola struttura di aspiranti quadri di partito. Parallelamente, il Psi morandiano ricostituiva dopo lascissione una “sua” organizzazione giovanile che assunse, con una certa doppiezza linguistica, il nome di Movimentogiovanile socialista, in nome di una dichiarata informalità antiburocratica che significava però di fatto tutto il contrario, cioèl’assenza di strutture organizzative autonome e la totale dipendenza dei giovani “morandiani” dalle decisioni del partito. IlPsi degli anni 50, con autentico zelo suicida, scioglieva l’organizzazione sportiva socialista degli Assi (che confluirà nellaUisp a maggioranza comunista) e i Falchi Rossi: unica associazione per il tempo libero a disposizione delle famiglieitaliane per i loro ragazzi rimarrà ben presto l’Agesci di marca cattolica. Ci vorranno più di dieci anni, la rottura con il Pcidel ‘56, il centro-sinistra, perché i giovani socialisti si vedano praticamente costretti dal comitato centrale del Psi adabbandonare la Federazione mondiale della gioventù democratica ai “cugini” della Fgci e al Komsomol sovietico peraderire finalmente alla Iusy, e non senza resistenza, dato che la maggioranza era ancora “carrista” almeno fino allascissione del Psiup, che vide un’ulteriore diaspora di giovani leve socialiste di scuola morandiana verso il Psiup, il Pci ola fine dell’attività politica (non Vincenzo Balzamo, a lungo segretario giovanile “carrista” per poi approdare a posizioniriformiste, per concludere in modo amaro e immeritato la sua vicenda umana e politica con Tangentopoli).Parallelamente, i giovani socialdemocratici nello stesso periodo in gran parte riconfluivano nel Psi attraverso il Muis.{mospagebreak title=La lotta studentesca e gli anni ‘60}In generale, possiamo dire che, per oltre 60 anni, i movimenti politici giovanili italiani erano stati fortemente interconnessicon le forze politiche organizzate del movimento operaio, dall’opposizione alla guerra di Libia passando per laResistenza, e fino ai moti di Genova del 1960 quando, stupendo un po’ le vecchie barbe della sinistra che diffidavano dei“giovani d’oggi” troppo interessati alle frivolezze della moda e dei consumi, i ragazzi con le “magliette a strisce” (erano dimoda le strisce quell’anno) scesero in piazza per contestare il congresso missino e fare a sassate con la polizia. Il ‘68segna una cesura: neanche il più numeroso e organizzato dei gruppi giovanili “ufficiali”, la Fgci, potè attribuirsi il meritodell’esplodere della protesta studentesca e della nascita di un movimento giovanile spontaneo e molto radicale, esemmai disponibile a farsi guidare solo da gruppi dirigenti nati al proprio interno e ben intenzionati a mantenere la propriaindipendenza costituendo organizzazioni nuove (da Lotta Continua ai vari “gruppuscoli” di quella che allora venne dettala sinistra “extraparlamentare”). Fino al 1966-68 i giovani quadri di partito avevano diretto senza troppa gloriaorganizzazioni di rappresentanza studentesca (l’Unione Goliardica Italiana, l’Unuri) nominalmente autonome dai partiti, epiuttosto autoreferenti e decorative che incisive: tra costoro si rintracciano nomi importanti delle stagioni politiche italianesuccessive, da Craxi a Pannella a Occhetto, e più di un testimone ha maliziosamente fatto notare come certi difetti“antropologici” della classe politica italiana, come il gusto della manovra e della conflittualità fini a sé stesse, potrebberoavere avuto in quell’esperienza qualche radice esistenziale. Fatto sta il ‘68 spazzò via queste forme di rappresentanzastudentesca, per sostituirle con forme più esigenti e intransigenti di militanza, ma anche indiscutibilmente con unamaggiore partecipazione ed un ben diverso impatto sulla società (dopo la fine dei grandi movimenti studenteschi, ilproblema di un’organizzazione studendesca rappresentativa, alternativa ai forti Cattolici popolari, simile per importanzahttp://www.giovanisocialisti.it - Federazione dei Giovani Socialisti Powered by Mambo Generated: 25 March, 2005, 13:05all’Unef francese ed altre esperienze europee, è rimasto non risolto; i tentativi della Uil-giovani negli anni 80 e poi dellaCgil con l’Unione degli Universitari di costituire dei “sindacati degli studenti” non sono andati lontano). Il ‘68 giunseinaspettato, i giovani degli anni ‘60 erano chiamati dai moralisti del tempo, che ne stigmatizzavano le presunte tendenzeegoistiche e consumistiche, la “generazione delle tre emme” (macchina, mestiere, matrimonio): ancora, unacontrapposizione artificiosa tra i doveri della militanza e i piaceri della società dei consumi in piena fioritura, quando invecela richiesta di maggiori consumi, maggiori libertà individuali, maggiori piaceri aveva di per sé una valenza politica “disinistra” che sarebbe piaciuta al vecchio Reich (come scoprì, piacevolmente sorpresa, la casa editrice di tendenzasocialista Sugarco, che prese a vendere migliaia di copie del quasi dimenticato autore). La ventata fu tale che l’allorasegretario giovanile comunista Occhetto propose di sciogliere nel “movimento” la Fgci (precedente che gli procureràparecchie ironie al momento di proporre lo scioglimento del Pci nel 1990). Nel ‘68 i giovani socialisti hanno comunquefatto, da forza di minoranza, la loro parte, in un movimento giovanile ampio e destinato a cambiare società e cultura inItalia: basti ricordare, a titolo di simbolo, Paolo Rossi, studente della Fgsi morto nel 1966, forse per incidente, macomunque nel corso dei tafferugli provocati all’Università di Roma dai teppisti di Almirante. In fondo, l’unico morto del 68, euna delle poche vittime, con pochi altri leader o militanti feriti in occasionali scoppi di violenza fascista o poliziesca, in unomovimento che fu essenzialmente pacifico almeno sino alla tragedia di piazza Fontana e ai fatti cupi e ancoraparzialmente misteriosi (omicidi Pinelli e Calabresi, attentato alla Questura di Milano...) che vi si intrecciarono.Certamente il ‘68 colse in controtempo il Psi: mentre si era nel pieno della faticosa unificazione con il Psdi, nellaconvinzione che l’esperienza del centro-sinistra avesse ben meritato agli occhi degli italiani, e che quello che occorressefosse un consolidamento di una posizione riformista che bilanciasse l’alleato democristiano, la società veniva percorsa daun frémito di radicalismo. La pressione del ‘68 contribuì certamente a far fallire l’unificazione Psi-Psdi: molti del Psipensarono che forse stavano sbagliando tutto, e che quello del ‘68 fosse un provvidenziale richiamo a non rinunciare aduna prospettiva più radicale e all’unità delle sinistre, mentre alcuni socialdemocratici ormai vedevano anche nei “capelloni”il pericolo del comunismo; le due componenti, anche per questo, oltre che per varie ragioni di bassa cucina politica, nontrovarono un modus vivendi, e ripresero, entrambe più indebolite, la loro strada separata.{mospagebreak title=Gli anni ‘70 e l’anticomunismo}La Fgsi degli anni ‘70 è quindi ancora una volta l’espressione della velleità di essere “più a sinistra”: non si tratta più diuna prospettiva rivoluzionaria, evidentemente, ma perlomeno, alla Lombardi, dell’alternativa di sinistra al governo.Questo fece sì che, nella stagione che per il Pci fu della solidarietà nazionale e del “compromesso storico” con la Dc, sicercassero convergenze ardite con l’area di Autonomia e del “movimento del 77”, rinfocolando la competizione con la“moderata” Fgci, ammiccando all’area più casinista del “movimento” con le proposte di liberalizzazione delle drogheleggere, e sottolineando il “garantismo” socialista di fronte alla “fermezza” comunista contro il terrorismo che sitrasformava a volte in caccia alle streghe, fino a partecipare in qualche occasione a manifestazioni dello stesso“movimento”, con le bandiere che recavano una falce e martello stilizzata, condividendo, dei coetanei del “77”, almenoalcuni elementi pratici ed estetici, quali l’edonismo e lo spontaneismo (persino il consumismo, non più privilegio borghesema rivendicazione “per tutti i proletari”, fino all’invocazione provocatoria del “diritto al lusso”), di contro al rigore moralistadel Pci. Sicuramente, se, nel corso di tutti gli anni ‘80, un elemento forte nel convogliare l’adesione di molti giovani ad unPci che pure vedeva scricchiolare da tutte le parti il suo edificio ideologico era l’avversione viscerale per il “brutale”pragmatismo di Bettino Craxi e la sua indifferenza alla pretesa di superiore moralità enunciata da Enrico Berlinguer, puresin dagli anni ‘70 scegliere i socialisti per un giovane significava, simmetricamente, manifestare un antagonismoaltrettanto viscerale per l’austerità berlingueriana, il suo anticonsumismo che sembrava voler fermare l’Italia allatelevisione in bianco e nero, e la sua estenuante - e mai risolta una volta per tutte - mediazione/strappo con l’Urss.{mospagebreak title=Bettino Craxi e gli anni ‘80}Gli anni ‘80 segnarono un’improvvisa rottura nel rapporto tra giovani e politica: nel luogo comune, dopo la sborniadell’”impegno”, inizia il “riflusso” e il “disimpegno”, per poi arrivare alla “yuppismo” e al “rampantismo”. Il luogo comuneprevede anche una sentenza sul Psi degli anni ‘80 come espressione politica dell’ideologia del disimpegno e del cinismoche sarebbero distintivi del decennio. Come tutti i luoghi comuni, è falso, ma è stato prodotto con delle ragioni: questeconsistono nel traumatico venir meno di ogni ipotesi di cambiamento rivoluzionario, per puro e semplice fallimento.Naturalmente tutta una letteratura non si è rassegnata a questo fallimento, invocando ora oscuri complotti mafiosi nelladiffusione dell’eroina per stroncare così le energie rivoluzionarie del “proletariato giovanile”, ora la brutalità della“repressione” che avrebbe visto coalizzati Stato borghese e Partito comunista nello spegnere le istanze antagoniste. Laverità è che il “movimento” aveva già in sé tutte le pulsioni autodistruttive che l’avrebbero poi estinto, con l’eccezione delle“riserve indiane” dei centri sociali occupati. Chi vide fallire definitivamente i sogni di palingenesi rivoluzionaria trovò neiriformisti il capro espiatorio su cui proiettare la propria paranoia. Il riformismo socialista degli anni 80 non fu affatto untradimento degli ideali collettivi di progresso degli anni 70, ma semmai il tentativo di salvaguardare il valore dell’impegnoe della responsabilità sociale in un clima mutato innanzitutto a livello di psicologia collettiva, prima ancora che sisentissero pienamente gli effetti delle trasformazioni incipienti della nuova economia post-industriale. Questo richiedevaforme e modalità nuove e magari inedite per una forza della sinistra italiana, e, certamente, prevedeva anche di sfruttare ilcambiamento dei tempi per arrivare ad una resa dei conti con il Pci, che Craxi sfidava, finalmente, in nome di una visionenon più subalterna, e anzi fortemente orgogliosa della recuperata identità riformista...e questo non era certo un crimine. Igiovani socialisti degli anni ‘80 presero atto che un’agenda politica della sinistra italiana doveva per forza imperniarsi sullamodernizzazione del Paese: il termine yuppie significa semplicemente young urban professional, e non aveva, all’inizio,nessuna connotazione dispregiativa, ma meramente sociologica, descriveva la mutazione avvenuta proprio grazie allebattaglie sociali degli anni ‘60, per cui la generazione più altamente scolarizzata mai apparsa sulla scena del Paese,grazie alla sacrosanta scuola di massa e all’abbattimento delle barriere di censo e di classe nell’accesso all’università,poteva aspirare in grandi numeri ad un miglioramento dei suoi livelli di consumi e di autonomia individuale, lasciandosihttp://www.giovanisocialisti.it - Federazione dei Giovani Socialisti Powered by Mambo Generated: 25 March, 2005, 13:05definitivamente alle spalle i modi di vita austeri e francamente un po’ deprimenti dei genitori e dei nonni contadini, operai,piccoli impiegati pubblici. Non si vede perché quest’aspirazione diffusa alla modernità e al benessere, favorita da un ciclopositivo dell’economia, dalla fine dell’ansia per gli shock petroliferi e dall’arrivo della rivoluzione informática, non potesseessere interpretabile “da sinistra”. Anzi, la ricerca di questa sintesi tra modernità e socialismo era quanto meno doverosa,di fronte all’esempio della Gran Bretagna, dove il partito laburista era stato sbattuto all’opposizione dall’aggressivo neoconservatorismodella Thatcher, che si poneva come solo interprete dei bisogni dei nuovi ceti sociali urbani, lasciandoalla sinistra soltanto gli sfortunati minatori (i giovani laburisti, infiltrati dalla corrente trozkista dei Militant, versavanonell’assoluta irrilevanza dell’estremismo). Nel socialismo italiano di quegli anni, quindi, non ci fu nessuna resa alle ideedella signora Thatcher (di cui inoltre proprio Craxi come primo ministro fu uno dei più fieri avversari in sede europea), masemmai la ricerca lucida di un’alternativa al liberismo e al darwinismo sociale rampanti, che fosse adatta ai tempi eparlasse ai nuovi ceti, ai figli scolarizzati della società del benessere che non erano degli alieni o dei traditori di classe, mai figli legittimi di un secolo di lotte operaie per il welfare e l’emancipazione che da qualche parte avevano pur portato! Ese il modo di vita yuppie prevedeva la fine del familismo cattolico e la completa autonomia negli stili di vita del giovane -o della giovane - “urbana” (ancora una connessione con il ‘68 e il ‘77, con la liberazione sessuale e l’emancipazione delleragazze), ancora, cosa c’era di sbagliato, per una forza di sinistra che rivendicava orgogliosamente di discendere dallecampagne per il divorzio, l’interruzione di gravidanza, e anche, perché no, dalle minigonne e dal rock (moralismi stalinistipermettendo o meno)? Questi i percorsi culturali che portarono nel corso degli anni 80 alla crescita significativa del votogiovanile a favore del Psi, percorsi tutt’altro che biasimevoli. Il limite del Partito socialista di quegli anni fu semmai di nonessersi saputo dare una organizzazione, una prassi politica e una cultura interna all’altezza delle aumentate responsabilitàverso il Paese e in grado di sfruttare decentemente la crescita di potere e influenza. Praticamente privo, in quanto partitopiccolo e sottoposto ad innumerevoli scissioni e diaspore, di una scuola quadri e di meccanismi stabili di selezione deigruppi dirigenti, praticamente il Psi si affidava per il reclutamento al bacino degli amministratori (il “partito degliassessori”, per sua natura totalmente autoreferenziale e portato a sostituire la politica “alta” e rischiosa del dialogo con leforze sociali con quella “bassa” delle piccole clientele elettorali facilmente controllabili), rinforzato da qualchesindacalista. Il “dispotismo illuminato” craxiano inseriva poi qua e là alcuni intellettuali meritevoli, senza che il corpo delpartito ne fosse toccato più di tanto. Il risultato era un partito assolutamente inadeguato ai suoi compiti nel suo materialeumano. La Federazione giovanile socialista avrebbe potuto svolgere un ruolo significativo in questo senso, contribuendoa costruire un partito che riuscisse a parlare fuori dal solito bacino di clientele ed iscritti che non riusciva a crescere oltreil tetto del 12/14%, e che fosse anche un canale di aggregazione per quadri selezionati (con una inconfessata einconfessabile invidia per il modello del Pci, che coltivava quasi “in serra” i suoi dirigenti migliori), liberandoli dallanecessità di sopravvivere alla massacrante competizione locale per le preferenze, che favoriva (e favorisce tuttora) piùspesso i più duri che i migliori. E questo il Psi cercò di fare, in effetti, ma troppo poco e troppo tardi: la Federazionegiovanile aveva il vizio di origine di essere lombardiana e movimentista, e nessuno nel Psi craxiano voleva sentir parlaredi un congresso giovanile che poteva disturbare la nuova immagine del partito, quindi l’organizzazione giovanile,rinominata Fgs, venne affidata ad alcuni funzionari e praticamente dispersa (un gruppo di giovani militanti che chiedeva ilcongresso giovanile e l’elezione di un nuovo segretario venne apostrofato da Martelli: “il segretario della Fgs è BettinoCraxi”).{mospagebreak title=Gli anni ‘90 e la rinascita riformista}Le cose cambiarono solo nel 1986, per l’effetto concomitante di due ragioni, una esterna e una interna: quella interna erache finalmente nel Psi, dopo tante teorizzazioni sul “partito leggero”, ci si era convinti che una forza che aspirasse asuperare il 15% doveva darsi strutture da partito di massa, quella esterna era che il segretario del Pci Natta avevariorganizzato con energia la Fgci, e quest’ultima aveva addirittura lanciato un’imbarazzante provocazione chiedendo diaderire come membro consultivo alla Iusy, pur mantenendo la sua presenza nella Fmgd comunista, richiesta accolta daigiovani socialisti europei anche per l’evanescenza organizzativa della Fgs. Nel 1988, con un inconsapevole riflessomorandiano, la Fgs tornava al nome di Movimento giovanile quasi per rassicurare il partito della propria affidabilità, eteneva a Ravenna un congresso che eleggeva segretario Michele Svidercoschi, a dieci anni di distanza dall’ultimosegretario eletto, Enrico Boselli. La storia del Mgs tra il 1988 e il 1992 è una pagina minore di storia della sinistra italiana,ma dignitosa: l’idea era che il Psi del “sorpasso a sinistra” e dell’”Unità Socialista” avesse bisogno di un radicamentosociale diverso, e che i giovani socialisti, come anche le donne socialiste, i circoli culturali, le componenti sindacali eassociative potessero essere queste nuove radici di un partito più grande e ambizioso. Gli iscritti crebbero fino a 30mila,e nel 1991 l’ex-Fgci, allora “Comitato promotore per la sinistra giovanile”, chiedeva l’adesione alla Iusy non più incompetizione con i colleghi socialisti, ma nell’ambito di un accordo politico tra le due organizzazioni giovanili che ebbepoi a livello italiano la ripercussione della creazione, sotto l’ombrello della CGIL, di “Tempi Moderni”, un’associazionegiovanile del sindacato che aveva lo scopo dichiarato di “abituare” giovani quadri socialisti e diessini a convivere sotto lostesso tetto: la prospettiva era quella della fine dello scontro a sinistra e l’unita’ riformista. Tangentopoli seppellì sotto lesue macerie, con molte cose più grandi, anche questo disegno: l’anziano Giolitti, nel 1993, dichiarava a La Repubblicache era bene che i giovani non si iscrivessero al Psi. Il segretario del Psi Ottaviano Del Turco diede l’incarico all’alloravicepresidente della Iusy e responsabile delle campagne di politica internazionale del Mgs, Luca Cefisi, di svolgere loscomodo ruolo di coordinatore nazionale in una situazione d’emergenza: quadri e dirigenti, scioccati, abbandonavanoinfatti la militanza politica, oppure passavano, a seconda delle personali inclinazioni, a Forza Italia o ai Ds (in particolare,un esame della provenienza dei quadri locali dei Ds di oggi rivelerebbe una percentuale davvero sorprendente di exiscrittidel Mgs degli anni ‘80); qualcuno, infine, rivendicava una nevrotica fedeltà personale a Craxi per giustificarel’abbandono del Psi, un pretesto un po’ contorto ma buono come un altro per togliersi da una situazione ormai pocoredditizia sul piano della carriera. Nel 1994 la Fgs, riprendendo il nome storico e ricostituendo un gruppo dirigente piùgiovane, sopravviveva allo scioglimento del Psi federandosi ai Socialisti Italiani e poi allo Sdi: un piccolo movimento dihttp://www.giovanisocialisti.it - Federazione dei Giovani Socialisti Powered by Mambo Generated: 25 March, 2005, 13:05minoranza, che però compie cento anni, e soprattutto sembra essere in grado di proseguire il suo percorso.http://www.giovanisocialisti.it - Federazione dei Giovani Socialisti Powered by Mambo Generated: 25 March, 2005, 13:05

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