[Primavera di Beirut] Un leader duro e puro
Leader duro e puro
Un capo della rivolta di Beirut
ci spiega “il vento di cambiamento”
e ringrazia Stati Uniti e Francia
Il Foglio, 5 marzo 2005, pag 1
di Rolfa Scolari
Beirut. “L’indipendenza del Libano nel
1943 è stata una presa in giro. La vera indipendenza
è adesso”, dice al Foglio un
distinto signore di Beirut davanti a una
tazza di caffè turco in un esclusivo club a
pochi chilometri dalla capitale, in riva al
mare. Il paese sente la grandezza del momento
storico. Giovedì sera il centro della
città, solitamente affollato, era deserto, i
ristoranti e i caffé semivuoti. In rue Monot,
la via dei locali e delle discoteche, i giovani
con la voglia di ballare erano pochi. La
paura, lo choc per la morte dell’ex premier
Rafiq Hariri, il lutto, hanno svuotato
i mitici caffè della città levantina. Gli abitanti
fanno due passi in centro per andare
a portare fiori sulla tomba dell’ex primo
ministro. I più giovani formano piccoli
gruppi di bandiere sulla piazza dei Martiri.
Il Libano è senza un governo: il presidente,
Emile Lahoud, non ha ancora indetto
consultazioni per la formazione dell’esecutivo,
ma alcune fonti assicurano al
Foglio che lunedì cominceranno i lavori.
In un altro club, sulle montagne che circondano
Beirut, uno dei grandi leader dell’opposizione,
Dory Chamoun, capo del
Partito nazional-liberale, figlio di un ex
presidente del paese, Camille Chamoun,
fratello di Dany, assassinato nel 1990, lascia
il tavolo da biliardo per dire al Foglio
che lui non transige: “Vogliamo il ritiro totale
delle truppe siriane prima delle elezioni
di maggio. Vogliamo un governo di
transizione neutrale il prima possibile,
con il compito di chiedere le dimissioni
dei vertici dell’intelligence”. Nessuna certezza
su chi ne sarà alla guida. A Chamoun
non importa il nome. Dice che all’opposizione
andrà bene chiunque abbia abbastanza
coraggio da soddisfare le loro condizioni.
Dice che il Libano è un paese con
una tradizione democratica e con un’esperienza
elettorale alle spalle, ma non
nega “il sentimento di trasformazione”
che ha invaso la regione. In Iraq, spiega,
“un anno fa c’era l’oscurità totale”, poi c’è
stato il voto, “in seguito le elezioni in Palestina,
le municipali in Arabia Saudita.
C’è un vento di cambiamento”. Ride, sorseggiando
il suo tè e spiegando come la
Casa Bianca e l’Eliseo stiano aiutando tantissimo
il paese: “Il Libano è stato dimenticato
per anni, piagnucolava, ma nessuno
se ne accorgeva e ora Stati Uniti e Francia
vengono a dire basta. E’ una cosa fantastica.
Per anni abbiamo pregato perché questo
accadesse”.
“Quando si apre la porta della
democrazia poi non si chiude più”,
dice Dory Chamoun
(segue dalla prima pagina) Dory Chamoun, leader
del Partito nazional-liberale, è sicuro
che il paese oggi, grazie all’impegno (in
questo caso) congiunto di Parigi e Washington,
sia uscito dalla “pattumiera dell’oblio”.
Di lui in Libano si dice che sia il
leader più duro e più puro di questa opposizione,
quello che non ha mai smesso
di spingere per arrivare a quanto accaduto
nei giorni passati sulla piazza dei Martiri.
“Con l’assassinio di Hariri – dice al
Foglio – la bolla è scoppiata. I siriani non
si rendono conto che la situazione è scappata
loro di mano, che il Libano intero è
contro Damasco”.
Nega che ci sia alcun contatto tra l’opposizione
libanese e quella siriana, anche
perché, spiega, là gli oppositori sono davvero
pochi. Recentemente 140 intellettuali
di Damasco hanno firmato un documento
di solidarietà con la piazza libanese. Ma
Chamoun è scettico, dice che si tratta di
una piccola libertà concessa dalla Siria in
cerca di pubblicità positiva, troppo poco.
Smentisce, un po’ stupito, la notizia pubblicata
ieri da Haaretz sui contatti dell’opposizione
libanese con Israele. Conferma
invece i colloqui con gli sciiti del Partito di
Dio: “Non è facile inserire Hezbollah tra
noi, è un gruppo religioso, che ha costruito
uno Stato nello Stato: ha relazioni con l’Iran,
che gli permettono di andare oltre la
legge libanese”. I contatti dell’opposizione
con Hezbollah servono a neutralizzare
questi tratti, per poi poter negoziare.
Il presidente siriano Bashar al Assad
parla oggi al Parlamento di Damasco: annuncia
la sua posizione sul ritiro, scottato
dalle pressioni venute dall’Arabia Saudita
e dall’antico alleato russo. E cerca appoggi
tra i paesi vicini. Ma, spiega Chamoun,
non è facile che l’impresa gli riesca.
“Tutti i paesi arabi sono regimi autocrati,
che devono cambiare. Temono che
gli Stati Uniti possano utilizzare le maniere
forti. Si rendono conto che prima o
poi è necessario andare verso la democratizzazione.
E’ una porta che una volta
aperta non si chiude più”.
Beirut soffre dopo la morte di Hariri,
ma c’è un sentimento positivo. Il weekend
sembra attrarre ancora i giovani in piazza.
Non c’è pessimismo nel sorridente leader
dell’opposizione: “Non si può essere
pessimisti in questo paese, nel momento
in cui si diventa pessimisti si crepa, ti vengono
emicranie, ulcere. Il mio dovere è
quello di battere il pessimismo. Come si
fa a essere pessimisti con tutto questo –
dice indicando, attraverso l’enorme vetrata,
le montagne ricoperte di pini – c’è
sempre qualcosa che compensa in Libano:
i politici sono terribili, ma il paese è
stupendo”.
Rolla Scolari
Un capo della rivolta di Beirut
ci spiega “il vento di cambiamento”
e ringrazia Stati Uniti e Francia
Il Foglio, 5 marzo 2005, pag 1
di Rolfa Scolari
Beirut. “L’indipendenza del Libano nel
1943 è stata una presa in giro. La vera indipendenza
è adesso”, dice al Foglio un
distinto signore di Beirut davanti a una
tazza di caffè turco in un esclusivo club a
pochi chilometri dalla capitale, in riva al
mare. Il paese sente la grandezza del momento
storico. Giovedì sera il centro della
città, solitamente affollato, era deserto, i
ristoranti e i caffé semivuoti. In rue Monot,
la via dei locali e delle discoteche, i giovani
con la voglia di ballare erano pochi. La
paura, lo choc per la morte dell’ex premier
Rafiq Hariri, il lutto, hanno svuotato
i mitici caffè della città levantina. Gli abitanti
fanno due passi in centro per andare
a portare fiori sulla tomba dell’ex primo
ministro. I più giovani formano piccoli
gruppi di bandiere sulla piazza dei Martiri.
Il Libano è senza un governo: il presidente,
Emile Lahoud, non ha ancora indetto
consultazioni per la formazione dell’esecutivo,
ma alcune fonti assicurano al
Foglio che lunedì cominceranno i lavori.
In un altro club, sulle montagne che circondano
Beirut, uno dei grandi leader dell’opposizione,
Dory Chamoun, capo del
Partito nazional-liberale, figlio di un ex
presidente del paese, Camille Chamoun,
fratello di Dany, assassinato nel 1990, lascia
il tavolo da biliardo per dire al Foglio
che lui non transige: “Vogliamo il ritiro totale
delle truppe siriane prima delle elezioni
di maggio. Vogliamo un governo di
transizione neutrale il prima possibile,
con il compito di chiedere le dimissioni
dei vertici dell’intelligence”. Nessuna certezza
su chi ne sarà alla guida. A Chamoun
non importa il nome. Dice che all’opposizione
andrà bene chiunque abbia abbastanza
coraggio da soddisfare le loro condizioni.
Dice che il Libano è un paese con
una tradizione democratica e con un’esperienza
elettorale alle spalle, ma non
nega “il sentimento di trasformazione”
che ha invaso la regione. In Iraq, spiega,
“un anno fa c’era l’oscurità totale”, poi c’è
stato il voto, “in seguito le elezioni in Palestina,
le municipali in Arabia Saudita.
C’è un vento di cambiamento”. Ride, sorseggiando
il suo tè e spiegando come la
Casa Bianca e l’Eliseo stiano aiutando tantissimo
il paese: “Il Libano è stato dimenticato
per anni, piagnucolava, ma nessuno
se ne accorgeva e ora Stati Uniti e Francia
vengono a dire basta. E’ una cosa fantastica.
Per anni abbiamo pregato perché questo
accadesse”.
“Quando si apre la porta della
democrazia poi non si chiude più”,
dice Dory Chamoun
(segue dalla prima pagina) Dory Chamoun, leader
del Partito nazional-liberale, è sicuro
che il paese oggi, grazie all’impegno (in
questo caso) congiunto di Parigi e Washington,
sia uscito dalla “pattumiera dell’oblio”.
Di lui in Libano si dice che sia il
leader più duro e più puro di questa opposizione,
quello che non ha mai smesso
di spingere per arrivare a quanto accaduto
nei giorni passati sulla piazza dei Martiri.
“Con l’assassinio di Hariri – dice al
Foglio – la bolla è scoppiata. I siriani non
si rendono conto che la situazione è scappata
loro di mano, che il Libano intero è
contro Damasco”.
Nega che ci sia alcun contatto tra l’opposizione
libanese e quella siriana, anche
perché, spiega, là gli oppositori sono davvero
pochi. Recentemente 140 intellettuali
di Damasco hanno firmato un documento
di solidarietà con la piazza libanese. Ma
Chamoun è scettico, dice che si tratta di
una piccola libertà concessa dalla Siria in
cerca di pubblicità positiva, troppo poco.
Smentisce, un po’ stupito, la notizia pubblicata
ieri da Haaretz sui contatti dell’opposizione
libanese con Israele. Conferma
invece i colloqui con gli sciiti del Partito di
Dio: “Non è facile inserire Hezbollah tra
noi, è un gruppo religioso, che ha costruito
uno Stato nello Stato: ha relazioni con l’Iran,
che gli permettono di andare oltre la
legge libanese”. I contatti dell’opposizione
con Hezbollah servono a neutralizzare
questi tratti, per poi poter negoziare.
Il presidente siriano Bashar al Assad
parla oggi al Parlamento di Damasco: annuncia
la sua posizione sul ritiro, scottato
dalle pressioni venute dall’Arabia Saudita
e dall’antico alleato russo. E cerca appoggi
tra i paesi vicini. Ma, spiega Chamoun,
non è facile che l’impresa gli riesca.
“Tutti i paesi arabi sono regimi autocrati,
che devono cambiare. Temono che
gli Stati Uniti possano utilizzare le maniere
forti. Si rendono conto che prima o
poi è necessario andare verso la democratizzazione.
E’ una porta che una volta
aperta non si chiude più”.
Beirut soffre dopo la morte di Hariri,
ma c’è un sentimento positivo. Il weekend
sembra attrarre ancora i giovani in piazza.
Non c’è pessimismo nel sorridente leader
dell’opposizione: “Non si può essere
pessimisti in questo paese, nel momento
in cui si diventa pessimisti si crepa, ti vengono
emicranie, ulcere. Il mio dovere è
quello di battere il pessimismo. Come si
fa a essere pessimisti con tutto questo –
dice indicando, attraverso l’enorme vetrata,
le montagne ricoperte di pini – c’è
sempre qualcosa che compensa in Libano:
i politici sono terribili, ma il paese è
stupendo”.
Rolla Scolari
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