Tuesday, March 08, 2005

[Sgrena] Ci sono molti Calipari da rivalutare

Il riformista. martedì 8 marzo 2005

REVISIONI TRE NOMI SCANDALOSI A SINISTRA 􀂄 DI PEPPINO CALDAROLA
Ci sono molti altri Calipari da rivalutare E se lo Stato fosse meglio dei movimenti?


E se lo Stato fosse migliore dei movimenti? La morte di Nicola Calipari ha spinto una parte significativa della sinistra radicale a rivedere alcuni pregiudizi attorno alla figura del cosiddetto “servitore dello Stato”, in particolare di quello che opera negli apparati di forza. Calipari è diventato «Nicola» sul manifesto e nel linguaggio comune dei pacifisti. E' il premio, questa familiarità, a un uomo, che ho conosciuto e stimato, capace di un gesto eroico e normale, salvare l'ostaggio liberato. Proviamo tutti a fare un passo avanti. Questo: lo Stato è pieno di Calipari. Potrei fare un elenco di nomi, compresi quelli di alcuni funzionari di polizia, uno su tutti Francesco Gratteri, protagonista dei grandi operazioni antimafia, coinvolto nelle drammatiche giornate del G8 di Genova, ovvero Ansoino Andreassi, straordinario specialista nella lotta al terrorismo, anch'esso travolto dal dopo Genova e oggi al Sisde, ovvero ancora dell'ex vice capo della polizia, Arnaldo Labarbera, uomo di rara umanità, ai cui funerali parteciparono pochi uomini della sinistra. Potrei fare ancora un lungo elenco, pieno di carabinieri e di militari, ma anche di gente che non appartiene agli apparati di forza, che appare nelle cronache o non apparirà mai. Servitori dello Stato, appunto.
Scrivo queste frasi per dire una cosa molto semplice su cui, forse, vale la pena di riflettere. Il doppio Stato non c'è più. Esiste uno Stato, fatto di persone serie e preparate, che sta attraversando i tumulti della Italia della seconda Repubblica portandola sulle spalle e navigando a fatica, ma a schiena dritta, dentro le divisioni e i pericoli di un paese che non conosce pace.
La piccola revisione che sta facendo in queste ore la sinistra radicale (Calipari è «Nicola»), ripropone al sistema politico, ma soprattutto a quella parte che probabilmente governerà fra poco più di un anno, il tema dello Stato. La tesi che ho provocatoriamente messo all'inizio, lo Stato è meglio dei movimenti, non vuole evidentemente sottovalutare il valore dei moti di protesta, delle forme di organizzazione spontanee o permanenti, in pratica il tema della partecipazione dei cittadini, nelle forme che intendono darsi, alla vita politica. L'esistenza di questi movimenti, assieme a quella del movimento più antico, il movimento sindacale, sono l'anima della democrazia e la democrazia, non l'ingegneria costituzionale, è il tema assoluto dell'epoca moderna.
La frase provocatoria vuole riproporre una questione che una classe dirigente progressista non può non sentire come primaria. Nelle epoche rivoluzionarie il tema è stato quello della sconfitta e dell'abbattimento dello Stato, nelle stagioni riformiste quello della riforma dello Stato. In questa epoca storica quale ruolo si pensa debba avere lo Stato? Bertinotti di Calipari ha fatto un eroe della non violenza. Capisco che è forte la tentazione per capire l'altro, diverso da te, solo rendendolo simile a te stesso. Ma, con tutta evidenza, la definizione è priva di senso. Un uomo dello Stato, un superpoliziotto, un agente dei Servizi, per quanto mite e gentile, non può essere espressione della non violenza. La sinistra non può avvicinare se stessa allo Stato vestendolo di abiti propri. La destra lo Stato lo ha dimenticato. Il leghismo lo vuole forte con gli extra-comunitari. An ne fa un serbatoio elettorale, indifferente alla sua efficienza, Berlusconi lo vive con fastidio, immaginandoselo pieno di magistrati e di esattori delle tasse.
Lo Stato per la sinistra deve essere trasparente, efficiente, agile, vicino ai cittadini, ma, con buona pace di Bertinotti, non è un domestico servizio d'ordine dei movimenti. E' l'ossatura di un paese, è la politica che trova interlocuzione in soggetti autonomi da essa e che garantisce quotidianamente il passaggio dall'oggi al futuro in un quadro di regole e di relazioni non soggette alle stagioni della politica. Nel campo della forza è lo Stato che manda i suoi uomini in Kossovo o in Iraq, anche se c'è una parte dei cittadini che non è d'accordo (io fra questi) e laggiù cerca di svolgere il proprio ruolo con dignità e umanità. E' il momento della forza contro la violenza dei Black blok di Genova stando attento, cosa che non è accaduta, a non utilizzare quella forza in modo improprio e contro persone inermi, la cui tutela è sacra proprio nel momento in cui cadono nella diretta responsabilità di uomini dello Stato. Ma lo Stato è anche forza, è esercizio della giurisdizione, anche contro gli amici dei potenti e contro gli stessi potenti; è amministrazione nell'interesse di una comunità di cittadini singolarmente indifesi. Non può essere più lo Stato imprenditore, ma è lo Stato che interviene nell'economia per fornirgli opportunità, per preparare i giovani, per garantire servizi essenziale, per liberare il mercato dai malintenzionati, per aprire porte a nuovi commerci. E' l'idea dello Stato utile, dello Stato amico che deve tornare a prendere il primo posto non solo nei programmi delle forze di centro sinistra, ma nell'idea di una nuova politica riformatrice.
Non si apre una nuova stagione politica se non si ingaggia una battaglia, che è culturale, contro l'ubriacatura anti-Stato che ha preso la destra e parte della sinistra. Cioè, lo Stato invadente di cui liberarsi, nella cultura neo-liberista che così poca buona prova di sé ha dato in questi anni. Ovvero lo Stato onnipresente che protegge tutti e tutto senza badare a come produrre le risorse per mantenere i servizi che al “pubblico” vengono chiesti. Per la sinistra si tratta di avviare una nuova fase di ricerca che accantoni la centralità del tema istituzionale che si è maniacalmente concentrato, fino a diventare bandiera della destra, sulla questione dei poteri dell'esecutivo per spostare l'attenzione su ciò che è lo Stato e quindi il “pubblico” oggi, sapendo che i due termini non indicano la stessa cosa ma sono assolutamente confinanti.
Il prezzo che il paese paga a questa stagione politica confusa è molto alto. Se le questioni principali di questa fase, soprattutto in un paese come l'Italia, sono una energica ripresa economica, una presenza dinamica sul mercati internazionali, una centralità del tema della democrazia, una vera politica della sicurezza, non possiamo sfuggire ai due secolari temi che ci vengono riproposti. Non sono né la leadership, né il mercato fai da te. E' invece la centralità dello Stato e di uno stato rinnovato, non più imprenditore, per rimettere l'Italia in corsa nel mondo. E' il ruolo di moderni partiti democratici e di massa, a forte identità riformista dal lato delle strutture della democrazia. Una parte della sinistra radicale queste tematiche se lo sta ponendo. Bertinotti torna a parlare di Stato nell'economia, di riforme di struttura, di nuovi equilibri politico-economici per spezzare il capitalismo, di apparati di forza affollati di non-violenti. E' la vecchia sinistra socialista che cerca di tornare in vita decenni dopo il primo centro di sinistra con la teoria - me lo ricordava Rino Formica - del «sasso nell'ingranaggio». I riformisti devono parlare di Stato in altro modo, di ingranaggi moderni liberati dai sassi, aperti, flessibili. Ma anche i riformisti devono ripartire da una discussione sullo Stato. Sennò la fuoriuscita dal radicalismo e dal post comunismo sarà un noioso “heri dicebamus”.

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